1963 - Porto Venere non è più come la vide Garibaldi

 

      

       Quando Portovenere costituiva ancora, la mèta favorita dei più noti paesaggisti italiani e stranieri sentii da uno di essi un appropriato giudizio a proposito delle sue caratteristiche d’arte. E cioè che gli architetti che s’erano accinti in passato a costruirvi opere di pubblica utilità (le chiese, le torri, il castello e lo stesso borgo genovese del quale non rimane che l’ossatura originale) inconsapevolmente avevano fornito all’apprezzamento artistico dei posteri altrettanti piccoli capolavori pittorici.
       Anche la vecchia « casetta » della Sanità, che credo rimonti al secolo XVIII — ma dati più certi dovrebbero risultare nel riordinato archivio del comune — costituiva nel suo piccolo, e nella sua struttura d’origine, un fresco quadretto marino del quale non resta che il ricordo. Come nell’annesso schizzo, l’aveva vista Giuseppe Garibaldi quando vi approdava nel settembre 1849, fuggiasco in questa «prima libera terra d’Italia» dopo la caduta della Repubblica Romana.
       Poi fu modificata nella sua forma attuale, nel corso del secolo XIX, pur continuando a costituire un apprezzato spunto del pittorico locale, eternato sulle tele dì molti insigni pittori, fino che l’inesorabilità del « boom » turistico veicolare — che si ostina a penetrare a forza fin nei recessi che per natura dovrebbero essergli preclusi — l’ha definitivamente isolata dal mare, facendole perdere ogni interesse artistico.
       Asserire oggi che tutto ciò poteva essere risparmiato e che un più estroso costruttore poteva conciliare le necessità stradali con quelle del paesaggio — il che vale anche per lo scempio fatto di spiagge e scogliere lungo la bella insenatura — può essere giudicato vana critica o senno del poi. Ma il dirlo, su queste libere colonne, dà qualche speranza che in futuro si sia maggiormente riflessivi nel determinare distruzioni irrimediabili nel patrimonio artistico di Porto Venere, anche del Golfo e dell’intera Liguria.
       Ma lasciamo le recriminazioni e riportiamoci col pensiero alla bellezza dell’approdo dell’Eroe dei Due Mondi a Porto Venere il 5 settembre del 1849. Poiché vi è bellezza anche in certi fatti storici; e d’altronde, può giovare soprattutto, ai giovani, il mettere in luce episodi, come quello anzidetto, che ne attestano le difficoltà e il lungo calvario fatto per conseguire l’unità nazionale.
       Garibaldi, in quella fresca mattinata settembrina non arrivava a Porto Venere in veste di visitatore; forse aveva già preso conoscenza dello strano paese in qualche precedente « poggiata » di uno dei velieri sanremesi o nizzardi, il Costanza, la Santa Reparata, il Clorinda sui quali aveva fatto la sua prima pratica di marinaio e di navigatore in Mediterraneo e Mar Nero.
       Vi giungeva come profugo braccato da tutte le polizie d’Italia, e dall’austriaca in particolare che ne aveva reso oltremodo penoso il trasferimento favorito dai patrioti dalle paludi di Comacchio, dove aveva trovato la morte la sua Anita al golfo di Scarlino in Toscana, in cui l’aveva preso a bordo la barca ospitale di Paolo Azzarini, Santerenzino. In quella stessa notte, la Madonna dell’Arena — tale era il nome dell’imbarcazione, attrezzata con reti a tramaglio per la pesca delle acciughe — era riuscita a sfuggire alla caccia della pirocorvetta toscana Giglio grazie alle varie rotte diversive consigliate da Garibaldi prima del cadere delle tenebre.
       In un opuscolo scritto da mio padre — che aveva assistito allo storico arrivo dell’Eroe — viene asserito che la barca di salvamento era stata apprestata «da mano amica» nel luogo d’imbarco dei fuggiaschi (Garibaldi e il fido Leggero) nella costa maremmana; e ciò si desume dalle opere di altri storiografi.
       Non fu dunque incontro occasionale quello di Garibaldi col capobarca santerenzino nella spiaggia maremmana ed è noto che l’Eroe rilasciò a questi una dichiarazione autografa (che mi auguro sia ancora degnamente conservata) nella quale affermava di essere stato trattato « egregiamente e senza interesse ».
       Esaurito lo scopo per cui Garibaldi era venuto a Porto Venere, egli si accomiatava dall’Azzarini e dagli amici del luogo ed approfittava dell’offerta del padrone Andrea Zembi e dei vogatori Lorenzo Frumento e Gaetano Bastreri che lo portavano alla Spezia con un gozzo del paese. Alla Spezia era atteso dal gentiluomo Gerolamo Federici che ne curava il proseguimento in vettura per Chiavari.
       Vorréi qui ricordare che scomparso il generale nel 1882 la società di Mutuo Soccorso di Porto Venere (anch’essa scomparsa nel gioco travolgente dei partiti) aveva compreso in apposita mozione intesa a tramandare il ricordo del suo sbarco a Porto Venere anche le seguenti proposte: 1) che la piazza della Marina fosse denominata piazza Garibaldi; 2) che nella stessa piazza fosse collocata un’epigrafe (allora preparata) a ricordo dello sbarco suddetto. Di tali proposte ebbe tardiva esecuzione (una quarantina d’anni dopo) solo la posa della lapide-ricordo ma in posizione del tutto inadeguata.
       E’ de augurarsi che una possibile revisione possa essere effettuata allorché sarà posto mano ai lavori per la sistemazione definitiva della Casetta di Garibaldi.

 
     
     

  

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