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Quando
Portovenere
costituiva
ancora, la mèta
favorita dei più
noti paesaggisti
italiani e
stranieri sentii
da uno di essi
un appropriato
giudizio a
proposito delle
sue
caratteristiche
d’arte. E cioè
che gli
architetti che
s’erano accinti
in passato a
costruirvi opere
di pubblica
utilità (le
chiese, le
torri, il
castello e lo
stesso borgo
genovese del
quale non rimane
che l’ossatura
originale)
inconsapevolmente
avevano fornito
all’apprezzamento
artistico dei
posteri
altrettanti
piccoli
capolavori
pittorici.
Anche la vecchia « casetta » della Sanità,
che credo
rimonti al
secolo XVIII —
ma dati più
certi dovrebbero
risultare nel
riordinato
archivio del
comune —
costituiva nel
suo piccolo, e
nella sua
struttura
d’origine, un
fresco quadretto
marino del quale
non resta che il
ricordo. Come
nell’annesso
schizzo, l’aveva
vista Giuseppe
Garibaldi quando
vi approdava nel
settembre 1849,
fuggiasco in
questa «prima
libera terra
d’Italia» dopo
la caduta della
Repubblica
Romana.
Poi fu modificata nella sua forma attuale,
nel corso del
secolo XIX, pur
continuando a
costituire un
apprezzato
spunto del
pittorico
locale, eternato
sulle tele dì
molti insigni
pittori, fino
che
l’inesorabilità
del « boom »
turistico
veicolare — che
si ostina a
penetrare a
forza fin nei
recessi che per
natura
dovrebbero
essergli
preclusi — l’ha
definitivamente
isolata dal
mare, facendole
perdere ogni
interesse
artistico.
Asserire oggi che tutto ciò poteva essere
risparmiato e
che un più
estroso
costruttore
poteva
conciliare le
necessità
stradali con
quelle del
paesaggio — il
che vale anche
per lo scempio
fatto di spiagge
e scogliere
lungo la bella
insenatura — può
essere giudicato
vana critica o
senno del poi.
Ma il dirlo, su
queste libere
colonne, dà
qualche speranza
che in futuro si
sia maggiormente
riflessivi nel
determinare
distruzioni
irrimediabili
nel patrimonio
artistico di
Porto Venere,
anche del Golfo
e dell’intera
Liguria.
Ma lasciamo le recriminazioni e
riportiamoci col
pensiero alla
bellezza
dell’approdo
dell’Eroe dei
Due Mondi a
Porto Venere il
5 settembre del
1849. Poiché vi
è bellezza anche
in certi fatti
storici; e
d’altronde, può
giovare
soprattutto, ai
giovani, il
mettere in luce
episodi, come
quello
anzidetto, che
ne attestano le
difficoltà e il
lungo calvario
fatto per
conseguire
l’unità
nazionale.
Garibaldi, in quella fresca mattinata
settembrina non
arrivava a Porto
Venere in veste
di visitatore;
forse aveva già
preso conoscenza
dello strano
paese in qualche
precedente «
poggiata » di
uno dei velieri
sanremesi o
nizzardi, il
Costanza, la
Santa Reparata,
il Clorinda sui
quali aveva
fatto la sua
prima pratica di
marinaio e di
navigatore in
Mediterraneo e
Mar Nero.
Vi giungeva come profugo braccato da tutte
le polizie
d’Italia, e
dall’austriaca
in particolare
che ne aveva
reso oltremodo
penoso il
trasferimento
favorito dai
patrioti dalle
paludi di
Comacchio, dove
aveva trovato la
morte la sua
Anita al golfo
di Scarlino in
Toscana, in cui
l’aveva preso a
bordo la barca
ospitale di
Paolo Azzarini,
Santerenzino. In
quella stessa
notte, la
Madonna
dell’Arena —
tale era il nome
dell’imbarcazione,
attrezzata con
reti a tramaglio
per la pesca
delle acciughe —
era riuscita a
sfuggire alla
caccia della
pirocorvetta
toscana Giglio
grazie alle
varie rotte
diversive
consigliate da
Garibaldi prima
del cadere delle
tenebre.
In un opuscolo scritto da mio padre — che
aveva assistito
allo storico
arrivo dell’Eroe
— viene asserito
che la barca di
salvamento era
stata apprestata
«da mano amica»
nel luogo
d’imbarco dei
fuggiaschi
(Garibaldi e il
fido Leggero)
nella costa
maremmana; e ciò
si desume dalle
opere di altri
storiografi.
Non fu dunque incontro occasionale quello
di Garibaldi col
capobarca
santerenzino
nella spiaggia
maremmana ed è
noto che l’Eroe
rilasciò a
questi una
dichiarazione
autografa (che
mi auguro sia
ancora
degnamente
conservata)
nella quale
affermava di
essere stato
trattato «
egregiamente e
senza interesse
».
Esaurito lo scopo per cui Garibaldi era
venuto a Porto
Venere, egli si
accomiatava
dall’Azzarini e
dagli amici del
luogo ed
approfittava
dell’offerta del
padrone Andrea Zembi e dei
vogatori Lorenzo
Frumento e
Gaetano Bastreri
che lo portavano
alla Spezia con
un gozzo del
paese. Alla
Spezia era
atteso dal
gentiluomo
Gerolamo
Federici che ne
curava il
proseguimento in
vettura per
Chiavari.
Vorréi qui ricordare che scomparso il
generale nel
1882 la società
di Mutuo
Soccorso di
Porto Venere
(anch’essa
scomparsa nel
gioco
travolgente dei
partiti) aveva
compreso in
apposita mozione
intesa a
tramandare il
ricordo del suo
sbarco a Porto
Venere anche le
seguenti
proposte: 1) che
la piazza della
Marina fosse
denominata
piazza
Garibaldi; 2)
che nella stessa
piazza fosse
collocata
un’epigrafe (allora
preparata) a
ricordo dello
sbarco suddetto.
Di tali proposte
ebbe tardiva
esecuzione (una
quarantina
d’anni dopo)
solo la posa
della
lapide-ricordo
ma in posizione
del tutto
inadeguata.
E’ de augurarsi che una possibile revisione
possa essere
effettuata
allorché sarà
posto mano ai
lavori per la
sistemazione
definitiva della
Casetta di
Garibaldi.
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